Sanatoria Piscina in area vincolata: non rappresenta una pertinenza
La costruzione di una piscina costituisce un intervento edilizio autonomo, qualificabile come nuova costruzione e non riconducibile alla nozione di pertinenza urbanistica.
Tale qualificazione, pacificamente affermata dalla giurisprudenza, comporta il necessario rispetto delle procedure autorizzative previste dalle normative edilizie e paesaggistiche. In assenza di tali autorizzazioni, l’opera è abusiva e non sanabile, rendendo ineludibile l’applicazione delle sanzioni ripristinatorie previste dall’ordinamento.
Nel contesto della disciplina urbanistica e paesaggistica, la questione relativa alla qualificazione delle piscine – in particolare di quelle di rilevanti dimensioni – riveste un’importanza centrale, soprattutto quando si tratta di stabilire se tali manufatti possano essere considerati “pertinenze urbanistiche” dell’edificio principale. La risposta, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale, è chiaramente negativa.
È ormai pacifico in giurisprudenza che una piscina, specie quando presenti dimensioni considerevoli, non possa essere qualificata come "pertinenza urbanistica". Questo perché essa non assolve a una funzione servente rispetto all’edificio principale, ma presenta una propria autonomia funzionale e strutturale, idonea a configurare una trasformazione urbanisticamente rilevante del suolo.
A differenza di accessori di modesta entità, che per loro natura sono destinati a un uso strumentale dell’edificio principale (si pensi, ad esempio, a piccoli locali tecnici, scale coperte, portici), una piscina – soprattutto quando è permanente, interrata, e di ampia metratura – incide in modo significativo e irreversibile sull’assetto del territorio, alterando la destinazione e l’uso del suolo.
La piscina come opera autonoma: esclusa la pertinenzialità
Ai sensi dell’art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 380/2001), l'intervento in oggetto deve essere qualificato come "nuova costruzione", soggetto dunque a permesso di costruire. Ma, ancora più rilevante in sede di contenzioso, è il profilo paesaggistico, disciplinato dal D.Lgs. n. 42/2004, e in particolare dall’art. 167.
Secondo il comma 4 di tale articolo, non è possibile accertare postumamente la compatibilità paesaggistica di interventi che comportino una trasformazione rilevante e permanente del territorio, come appunto le nuove costruzioni. In altre parole, la realizzazione di una piscina di grandi dimensioni senza previa autorizzazione paesaggistica è insanabile, in quanto si tratta di un intervento che modifica irreversibilmente lo stato dei luoghi.
La giurisprudenza, in tal senso, ha più volte ribadito che:
L’intervento consistente nella realizzazione di una piscina interrata, specie di rilevanti dimensioni, non può essere considerato pertinenza, ma va qualificato come nuova costruzione, soggetta a titolo abilitativo edilizio e paesaggistico, non suscettibile di accertamento di compatibilità ex post, ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. 42/2004 (cfr. TAR, Consiglio di Stato, varie sentenze conformi).
Le conseguenze giuridiche
Le implicazioni di tale orientamento sono rilevanti sotto il profilo sanzionatorio e della possibilità di sanatoria. Una piscina costruita in area soggetta a vincolo paesaggistico, senza le necessarie autorizzazioni preventive, non può essere oggetto di sanatoria paesaggistica e, pertanto, è passibile di ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 167, comma 1 e 2.
Le modifiche normative introdotte dal 2016: il limite del 20% e la qualificazione come pertinenza
Un ulteriore elemento di rilievo nella qualificazione urbanistica delle piscine riguarda l’evoluzione normativa successiva al 2016.
In particolare, con il D.L. n. 222/2016, che ha semplificato e aggiornato molte delle procedure edilizie, si è intervenuti anche sulle modalità di realizzazione delle piscine, andando a sostituire parzialmente le disposizioni previgenti contenute nel D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia).
Tra le indicazioni fornite dal nuovo quadro normativo, la metratura della piscina emerge come un criterio determinante per stabilire se essa possa ancora essere qualificata come pertinenza urbanistica dell’edificio principale. Secondo quanto chiarito anche da prassi amministrative e orientamenti tecnici, se la piscina non supera il limite del 20% del volume dell’edificio principale cui è asservita, può ancora essere considerata una semplice pertinenza, con conseguente applicazione di un regime autorizzativo semplificato.
Tuttavia, il superamento di tale soglia volumetrica comporta automaticamente il venir meno del rapporto pertinenziale, determinando la qualificazione dell’intervento come nuova costruzione, con tutte le implicazioni in termini di necessità di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica (se in area vincolata).
Ciò conferma, ancora una volta, che la dimensione della piscina non è un dettaglio tecnico secondario, ma un parametro giuridicamente rilevante, che incide sulla natura dell’intervento e sulla legittimità della sua esecuzione, qualora non sia una area vincolata dalla normativa paesaggistica.